Un ambiente più volte visitato e studiato, con e senza l’acqua, l’altro fattore generante di questi spazi, insieme alla roccia calcarea. Il luogo è sempre affascinante, in qualsiasi momento dell’anno, con qualsiasi condizione climatica.
A dire il vero mi sono più volte ripromesso di percorrere integralmente questo corso d’acqua il cui cammino però è tutt’altro che agevole e perciò mi sono fermato dove si fermano (quasi) tutti i numerosi visitatori.

Non è la prima volta che in un luogo abbandonato mi capita di fare questo tipo d’incontri.
Non è la prima volta perché spesso frequento luoghi abbandonati e in tali situazioni scopro abitanti solitari o in colonie che vivono ai limiti della sopravvivenza. Forse è proprio per questo che quando mi avvicino loro, non sentendomi ostile vivono con curiosità il timore dell’incontro con lo sconosciuto.
E questo gli fa assumere pose inconsuete, spesso non comuni tra esseri di quella specie.

Risalendo con attenzione un piccolo corso d’acqua in una valle nota anche per i suoi giacimenti di vari minerali, mi sono trovato a scoprire cristalli di ogni sorta di colore, dimensioni e riflessi. Ho quindi deciso di fare un minimo di “raccolto”, come faccio da sempre, per, in questo caso, mostrare la bellezza della varietà presente anche nel mondo minerale. Probabilmente quell’acqua era anche potabile e ho pensato di renderne la trasparenza con più passaggi della resina vegetale che da anni utilizzo per la raffigurazione dell’acqua.

In un paesino della Provenza c’è un giardino dove, come spesso là succede, la maggior parte delle piante in vaso è costituita da succulente le quali, contrariamente al comune pensare, possono dare luogo ad un mondo a sé in quanto a forme e colori. I quali colori sono inevitabilmente accentuati dagli smalti e dalle terre che formano i recipienti che le contengono e che definire vasi sarebbe troppo riduttivo. Poi c’è l’altro ingrediente del paesaggio che è la luce e che fa la differenza: ben lo sapeva il mio Maestro olandese che giunse fino a qui prima di tutto per incontrarla.

Nel cuore dell’Europa esiste un Paese che amo anche per il suo modo di farmi vivere la luce (per me essenziale) e il freddo (che non amo).
L’inverno in Cekia è un’altra cosa rispetto al nostro, soprattutto perché non è così carico di umidità com’è in riva al lago. E poi c’è quella luce “bassa”, accecante se osi rivolgerle lo sguardo, mai però fastidiosa se le volti la schiena e ti metti in movimento. Non ho mai camminato così tanto come su quella neve, e di fretta, perché il tramonto è rapido e non è bene farsi trovare all’aperto, dopo.

Tra le tante immagini di case abbandonate che ogni giorno ci sforna la Rete, mi ha particolarmente intrigato questa di un borgo del Trentino o, almeno credo: mi è assolutamente irrilevante avere la certezza della localizzazione, perché ciò che ha catturato la mia memoria visiva è il contesto, l’insieme di manufatti che la Natura più o meno velocemente si riprenderà, unitamente al fatto che, comunque, in altri tempi, qualcuno ha deciso (o ha dovuto decidere) di vivere qui.
Come spesso accade, insieme alla fatica e ai rischi dell’isolamento, però, in questi luoghi, abbandonati dagli uomini e da Dio, c’è comunque una traccia di devozione, magari posizionata su luoghi culto ancora più antichi, mai però scelti a caso, almeno secondo il moderno modo di concepire le costruzioni.

Nel mio girovagare sulle fertili colline piemontesi, arricchite dal lavoro secolare della gente dei campi, mi è capitato soprattutto di apprezzare, da uomo che vive anche di piante e con le piante, la immensa varietà del paesaggio rurale e selvatico: in questo caso a fare da confine tra i campi di cereali e le vigne ho potuto apprezzare i Pioppi Bianchi che spesso vengono scambiati per Betulle ed una miriade di arbusti che formano siepi naturali segnando la presenza dell’acqua.
È in questa varietà di specie che si nasconde un altro segreto della ricchezza di questi luoghi: Biancospini, Carpini, Cornioli e tanti altri, infatti, dando rifugio e nutrimento a numerose specie di uccelli, molti dei quali insettivori contribuiscono al contenimento delle insetti dannosi. Qui, tra l’altro, ho incontrato per la prima volta anche un’Upupa, ma non ho fatto in tempo a fotografarla.

Ad un giovane ex allievo, bravo orticoltore, ottimo cuoco e valente fotografo ho chiesto di regalarmi un suo scatto: la tranquillità del luogo e del momento meritava tutta la delicatezza dei soli colori a olio, senza l’ausilio di alcun altro materiale.
Il risultato mi dicono i critici di cui mi fido dà un senso di quiete, esattamente come una passeggiata serale sul lungo Ticino può regalare.

E’ anche l’ultima volta che sono stato al mare col parente più stretto che ho avuto. Quasi coetanei, lui più vecchio di un anno, abbiamo condiviso comuni e svariate passioni, sempre animati da estrema curiosità per le cose del mondo e ogni creatura.
Mi ha fatto lo scherzo di lasciarci all’improvviso privandomi di chissà quante altre scoperte e risate.
Davanti a questa tela, se chiudo gli occhi, sento ancora il frangersi delle onde e il suo stimolo ad andare avanti, per raccontare ad altri ciò che è stato e ciò che sarà.

Un metro quadro di spettacolo marino, inquadrato in un luogo dove mi piacerebbe vivere, ma dove si fatica sempre più a vivere. Il clima però è squisito, la Natura, intesa come varietà di specie animali e vegetali è eccellente, il cibo ottimo ed è per questi argomenti che i residenti sono molto longevi. Credo tutto ciò possa ampiamente giustificare il titolo omaggiatomi dalla prima attenta visitatrice.

Nel tempo ho utilizzato più volte queste 2 tecniche: ridurre al minimo possibile la gamma dei colori e distenderli sulla tela con le dite.
Questa modalità di lavoro mi è parecchio congeniale quando il soggetto è il corpo umano o sue porzioni, soprattutto se femminili. Non conosco pennelli così morbidi per descrivere altrettanto velocemente la pelle, nostro principale organo di comunicazione con gli altri e col mondo esterno.

Ho ripreso in questo caso un soggetto che avevo sviluppato già negli anni ’70, riciclando anche una vecchia cornice. Come tutti i miei antenati (e discendenti) maschi sono da sempre particolarmente attratto dall’elemento fuoco e non saprei fare a meno di osservarlo da vicino.
La combustione, generata da una serie di processi chimico-fisici, dà come risultato la fiamma. Meglio sarebbe dire le fiamme, perché ogni sostanza organica bruciando produce colori differenti a secondo dei minerali che la compongono. A scuola ricordo di aver affascinato generazioni di studenti usando sali differenti, come i produttori pirotecnici. E poi il fuoco è energia e io sono ENERGIA.